Gli ultimi fatti di cronaca in questi giorni sono riusciti a buttarci addosso una impressione generale di impotenza, di depressione, di incapacità di smuovere le cose. E bisogna partire da questo, dalla depressione, dall’ orroere che provoca l gruppo di ragazzini che aggredisce un anziano sino a renderlo impotente e ucciderlo, il tutto “per divertirsi” e ancora più orrore fa il paese che sapeva e che ha lasciato correre, in un ritrarsi dalla propria responsabilità, dall’essere parte… “Mio figlio ha sbagliato, ma capitelo, qui ci sono solo bar…” “ Mio figlio è stato incastrato” fa eco il padre di uno dei violentatori di Viterbo, I ragazzi che hanno violentato una donna nell’ascensore della metropolitana sono addirittura applauditi dai parenti, e velocemente scarcerati perché non ostante le loro stesse dichiarazioni, i giudici pensano che lei non ha reagito abbastanza, e allora…

Il panorama in cui ci muoviamo è desolante, ancor più a livello internazionale, con i cecchini lodati per il loro lavoro di morte, le visioni panoramiche sui bombardamenti a Gaza, lo Yemen, Haiti, e potrei continuare, tra femminicidi negati e popoli nativi repressi ad oltranza.
Che dobbiamo fare? Metterci a piangere? Ritirarci nel nostro aureo isolamento, incavolarci, metterci a sparare? Certo ci vuole una bella energia per reagire, ma è di questa che abbiamo bisogno, perché tutto lo spazio che lasciamo alle tragedie, all’orrore è spazio che rubiamo a noi stesse, a noi stessi, che rubiamo alle differenti possibilità di vita, alla nascita del mondo migliore, a quel ben vivere che cerchiamo e che dovrebbe essere qui adesso, nella nostra quotidianità. Una volta preso atto del disastro che ci circonda, l’unico mezzo che abbiamo è cambiare lo sguardo, rimuovere l’orrore, creare incontro e conciliazione, creare momenti di bellezza e di luce, proprio perché il buio sta diventando fitto. E più è buio, più la nostra luce, per quanto piccola, può divenire un richiamo, un punto di riferimento. La signora che lamenta ci sono solo bar ha individuato un problema, ma non ha pensato a nessuna soluzione perché è rimasta dentro il sistema, dentro la lamentela per quel che non c’è, per quello che non viene fatto. Bene, cambiare le cose vuol dire anche fare, magari una bella festa della solidarietà dove ci si diverta e si incontrino le differenze, e collaborino. Una serie di proiezioni, una ripulita e rivivificazione dell’ambiente, poesia, arte, un murale da fare tutti insieme… I giovani hanno bisogno di vita, di proposte, di progetti, di gioco, e se li lasciamo soli con i messaggi di arroganza, di isolamento, di superiorità che ricevono ogni giorno vediamo dove possono arrivare!
Divertirsi a fare del male, sia esso torturare un animale indifeso, fare i bulli con i più piccoli e più in difficoltà, dichiarasi superiori a un negro, un immigrato, una donna, una zingara, a me sembra il rifugio di chi non ha niente per sé, e quindi si aggrappa all’essere superiore a qualcun altro per sentirsi qualcuno.
E allora dobbiamo lavorare a largo raggio, restituire una dignità, uno sguardo affettuoso anche all’ubriacone per strada, alla signora anziana che è sconcertata da come va il mondo e non trova di meglio che rimproverare un ragazzino nero, una donna straniera, non fosse mai che porta il velo! È in questo ambito che sguazzano i dettami della marmaglia fascista, e fanno presa su chi non ha nulla e non ricorda neppure più che cosa sia la dignità, così può urlare oscenità contro qualcuno, protetto dalla polizia che è forte con i deboli ma disponibile a proteggere gli urlatori infami. E allora basta! Cabiamo proprio quadro!Basta polizie, esrciti e chiusure! Basta accettare come inevitabile tutto quel che succede! Ma qualunque azione facciamo, cerchiamo di farla gioiosamente, felicemente, ricomiciamo a fare battute, a fare poesia, a sognare un mondo diverso anche nei momenti più oscuri, e usiamo tutti gli strumenti che abbiamo, le canzoni, l’arte, la poesia la danza o il tamburo: suonare al ritmo del cuore della madre terra ci coinvolge e ci avvolge, danzare la nabka è un modo per uscire fuori dalla tragedia, vittime e martiri, ma no siamo persone, che cantano, giocano, danzano, che amano e si inventano le nozze con i fichi secchi, i pranzi fatti di incontri, di parole, di lavoro condiviso, con le erbe del campo e le uova di un pollaio vero, con le galline che razzolano felicemente! Fatto di grano nativo e di mani in pasta, di amore che fa lievitare la pasta e crea il pane sacro delle tavole antiche, e i tavoli ce li inventiamo, per stare vicini, insieme, chi porta il velo e chi si mette il grembiule, chi semina e chi raccoglie, chi racconta storie e chi condivide il pane. E chi sa cantare, o non sa ma ci prova, e chi sa ballare, o non sa ma ci prova, girotondi di bambini e chiacchiere dietro un bicchiere (vino, acqua, succhi o tisane tutto per bere insieme!). Se comiciamo a fare esperienza di momenti insieme semplici ed allegri, se cominciamo a fare insieme la pulizia di un parco, del greto di un fiume, se cominciamo a raccontare storie, a scambiarci storie , vedremo che anche la nostra vita cambierà, il nostro umore, la nostra speranza. Il cambiamento è qui, nelle nostre mani, nella nostra volontà, nel dilatare il tempo, inventarsi lavori di scambio e comprensione, smettere di correre per tutto il giorno, di affannarsi.
