E se la luna piena
scuote la tua pace
apre il cammino
ad altri mondi, altre idee
Non puoi che accettare
il momento e fluire
con i pensieri, e il tempo
e il calore, e la notte
lasciando andare
paure ed esitazioni
abbandonandoti all’essere
alla saggezza profonda
che parla quando tutto tace.

di seguito le mie riflesisoni sull’oggi guardando alla situazione oggi su questa terra, in particolare in Italia:
Ho letto vari post ultimamente di persone che prendendo spunto dal periodo elettorale ragionano sui pro e i contro della situazione che stiamo vivendo.
Tutti preoccupati e spaventati per la povertà che avanza, il costo della vita che aumenta, eccetera. E poi ci sono i soloni che ti consigliano le cose più banali, per non spendere troppo, risparmiare sul gas . Questa cosa del risparmio, del limitare i consumi, spegnere la luce se non sei in una stanza e spegnere il gas sotto la pentola, tutto bene, tutto giusto, forse, ma la gente comune l’ha sempre fatto, e mica tutti hanno bisogno di sprecare per vivere, solo che così non si affronta il problema di fondo: gli spazi di manovra individuale si restringono e le persone sono confinate nella paura, nelle previsioni sempre più nere, per cui beni di rifugio, chi può, e gli altri si attaccano, magari per sopravvivere all’inverno si venderanno i gioielli di famiglia, la casa dei nonni, forse per due lire, perché quelle due lire servono per il gas nei mesi più freddi…
Il periodo è chiaramente di crisi, ma a me sembra che si sta scaricando tutto sul singolo, sulla singola donna casalinga che si ritroverà a fare i salti mortali per mettere ogni giorno un pasto adeguato a tavola e mantenere i figli in ordine, puliti e senza strappi che non siano di moda…
Invece proprio in questi tempi dovremmo ricostruire e rifondare l’unione tra gente in difficoltà, dovremmo ritrovarci a rivendicare non solo le bollette meno care, ma una vita serena e solidale!
Dovremmo essere insieme, e proprio ora che si va ad una tornata elettorale si dovrebbe trovare un punto di incontro tra chi rivendica libertà, pace e benessere.
Sappiamo tutte e tutti che solo insieme si affrontano e risolvono i problemi. Abbiamo visto che solo le lotte collettive, le esperienze di condivisione, di incontro, di scambio resistono al tempo, alle aggressioni e alle lusinghe spesso traditrici di chi promette per raccattare qualche voto.
E no neppure quelle lotte sono state svincolate dalla narrazione della pandemia, e questo è stato uno dei punti di rottura: per salvare ciò che era il nucleo, si è accettata acriticamente la vulgata sulla pandemia, si sono chiusi persino alcuni centri sociali, per timore del virus, o della repressione al virus, e la mancanza di senso critico, l’isolamento, il confinamento hanno fatto il resto. Ora dovremmo tornare a risentirci popolo, a rimettere insieme i pezzi, a ragionare e comprendere che tipo di vita vogliamo vivere, per noi, i nostri figli, i nostri vicini, ma a largh cerchi concentrici allargando a tutto il mondo e permettendoci una qualità di vita sana, allegra, solidale… Non dovrebbe essere iniziativa privata, fatica di pochi, soccorrere chi ha bisogno. Nessuno dovrebbe accettare il blocco dei migranti mentre si spendono milioni in armamenti e guerre per procura. Non dovremmo fare accoglienze di serie A e respingimenti violenti di tutto il resto!
Bisogna ripartire dal “noi” dal senso di un collettivo che collabara per il bene comune, composto da individui liberi e uguali, che hanno sovranità sul proprio corpo, la propria salute, le proprie scelte in materia di genere, di aborto, di sessualità, e che possono mettere insieme energie e speranze per costruire il mondo che vogliamo.
Ho visto con orrore discutere ancora sull’aborto, come se fosse lecito che altri, lo stato, la collettività, possa regolare la vita delle donne sino al punto da imporre la maternità obbligatoria, compreso il dovere di dividersi in mille pezzi, per tenerti un lavoro salariato e insieme prenderti cura di un bambino, di una bambina piccola, senza peraltro poterti fidare in pieno di nessun aiuto, salvo forse tua madre, perché ci sono troppe storie che circolano di abuso sui minori, sulle minori, dal prete dell’oratorio, al nonno, lo zio, il padre… Perchè mai dovresti far nascere una bimba o un bimbo in questo caos? Perché non si ricostruisce un discorso di solidarietà collettiva, di rispetto per i bimbi, di protezione da parte di tutta la comunità, in modo che se mai la scelta di fare un figlio sia una scelta possibile, e non una condanna?
E ovviamente per rispettare i più piccoli devi partire dal rispetto in generale, si deve respirare un’aria diversa, di sostegno di amore, e non di accusa costante, sei sempre fuori le regole, è sempre colpa tua!
C’è stato persino chi ha colpevolizzato il ragazzo che si è suicidato a 13 anni perché bullizzato e incapace di resistere oltre, o i suoi genitori che l’avrebbero cresciuto troppo fragile e insicuro: ci vuole un bel coraggio, e una profonda assenza di ogni empatia per ragionare così! Purtroppo l’aria che respirano i ragazzi, le ragazze, che respiriamo anche noi tutti e tutte, è quella del bullismo eretto a sistema: se il sindaco di Trieste può dire delle persone soccorse nella piazza del mondo che vanno “a farsi fare il pedicure”, se si può pensare di perseguire le “devianze” fino a sradicarle, di seguire l’iter dei giovani per incanalarli a un lavoro, qualsiasi, pena sanzioni pesanti, se si può pensare di penalizzare chi non vuole entrare nel giro del green pass, della tessera per muoversi, persino sospendendo dal lavoro chi non si piega, se un attore noto può dire impunemente di aver denunciato i suoi vicini perché si facevano una festa in famiglia, proclamando che ha fatto il suo dovere, come possiamo prendercela con i bulletti della scuola? Il gioco a chi è più carogna è altrettanto facile di quello della empatia, se la direzione che sta prendendo il sistema è quella, e maggiore è l’insicurezza che si vive, maggiore è la tensione verso gli altri, chi si distingue è il colpevole, non il clima assurdo in cui viviamo. Quindi, elezioni o meno, è nel profondo che bisogna cambiare, la pace non sta in piedi senza il ritorno ad una ideologia che ci faccia sentire nel profondo fratelli e sorelle, compagne e compagni, senza esitazione, e ci faccia ricacciare i fascismi ed i sovranismi nella fogna della storia.

Credo che questa storia del sovranismo sia l’ultima scoperta della incertezza: se tutte le decisioni che si sono prese sono dipese dall’Europa, dai poteri forti, è da loro che dobbiamo sganciarci per tornare a vivere bene! A me sembra che sia una visione miope e parziale: non c’è verso che i confini facciano da argine a niente, gli uragani sono oramai diffusi in luoghi che non ne erano mai stati toccati, una centrale nucleare in Russia, o in Ucraina può contaminare bellamente tutto il continente, come ben sappiamo, e ancora i mari non sono salvi dalle acque contaminate della centrale giapponese, ne dall’inquinamento globale. E qualche governante ciarla di usare la bomba atomica per vincere, non fa niente quanta gente muore, quanti paesi vengono cancellati: che ce ne facciamo di una Italia Sovrana quando non ci saremo più? Credo che il discorso vada ribaltato, una Italia identitaria, ma solidale, forte del suo essere indipendente e del suo essere con gli altri, la presenza in Europa va definita in termini di rispetto e di interazione, e non di pedissequa obbedienza! E sapere che i confini sono labili ed aperti aiuta tutti, accogliere con una certa organizzazione chi vuole venire, avviando magari azioni di scambio, di ascolto invece che lager, permettendo a chi è accolto di venire con normali mezzi di trasporto, con un visto di accoglienza che permetta di orientarsi, muoversi, transitare. La vergogna dei campi di concentramento grida vendetta davanti all’Universo, e i nostri soldi usati per fermare, torturare, reprimere sono un uso osceno del poco che abbiamo. Come si fa a non chiedere conto di tutto questo? Come si fa ad accettare che il problema è il migrante che arriva, e si sprecano miliardi per ficcarne in fondo al mare o in qualche fogna di terra il più possbile? Gli stessi miliardi, usati oculatamente per accoglienza, sostegno orientamento potrebbero fornire posti di lavoro a educatori, medici, infermieri, assistenti di orientamento, promotori, e permettere di utilizzare risorse disperse non per arricchire qualche despota assassino, ma migliorare il benessere di una comunità intera! Invece di penalizzare chi aiuta, si dovrebbe penalizzare chi perseguita, aggredisce, tortura!
C’è tutta una società da ripensare, senza steccati, senza pregiudizi, solidale, accogliente con le differenze, che ognuno possa esprimersi senza sentirsi giudicata o giudicato,
In questo mese si settembre c’è il solito rivolgimento delle cose, la Luna piena in Vergine il 10, e poi il 21 l’equinozio, che ribalta tutto, aiuta a fermarsi , a riprendere l’equilibrio, prima di cambiare la direzione, raccogliere i frutti, concludere e ripartire lentamente andando verso la riflessione, verso l’interno di ognuna e ognuno ed anche l’interno, il cuore di una società, di una comunità, per trovare la luce e il calore che albergano in essa.
Ci stanno trasmettendo l’immagine di noi sole, soli, in una casa fredda, con poca luce, per risparmiare, ma io ricordo come erano le giornate e le notti di un tempo: se il freddo rendeva difficili i lavori all’aperto ci si riuniva nelle cantine, o nelle stalle, dove il calore degli animali aiutava a rendere abitabile la zona di lavoro, si aggiustavano attrezzi e calzini, si cuciva, si raccontavano storie, si tagliava la legna, si facevano i cesti per i prossimi lavori…e in settembre ci si riuniva per preparare le salse e le conserve che consentissero le scorte per l’inverno senza gettare nulla delle verdure e frutta che avanzavano grazie all’abbondanza della terra. Ora io non credo che sia possible rifare lo stesso, ma prendere spunto per creare zone collettive, che so, una stanza comune per tutti i ragazzini che devono fare i compiti e passare i pomeriggi, al caldo insieme, con pochi adulti che li accompagnano, una sala comune. O una cantina dove incontrarsi, guardare la tele, discutere, parlare, fare insieme dei lavori collettivi, una grande cucina dove cucinando per tutti riscaldi anche l’ambiente…. Questi sono accorgimenti che io metterei in campo, tutto quello che permette di riunirsi, stare insieme, collaborare, il che vorrebbe dire creare un luogo collettivo dove gli anziani e le anziane abbiano un ruolo, oltre che un sostegno, e se noi torniamo la sera, loro ci vivono tutto il giorno, sorvegliano una pentola, aggiustano, chiacchierano, giocano, sonnecchiano o guardano la tv, o aiutano un ragazzino in difficoltà a fare un compito.
Io ricordo la grande casa dei contadini della mia infanzia, le stanze accoglienti per ragazzini e persone di varie età, e lo ricordo come momenti caldi non solo per il fuoco acceso su cui cuoceva la polenta, ma per il calore dell’affetto che permeava quei luoghi, per l’andare e venire di genitori, vicini, amichetti che in quel porto approdavano per un prodotto della terra, un acquisto, una chiacchiera… E ovviamente ricordo i trucchi e le necessità di sopravvivenza e di sfuggire alla collettività, o infilarsi in un’altra, più consona, secondo l’estro e il momento. C’era la maglia larga della comunità che ci sorvegliava in qualche modo, e ogni adulto aveva il diritto di riprenderci se sgarravamo, ma anche di soccorrerci se ci facevamo male, di bloccare un intervento inappropriato.
In uno scritto di qualche tempo fa avevo immaginato che anche l’accoglienza potesse cambiare di segno, smantellando con un lavoro organizzato di mesi tutti i campi di concentramento e aiutando le persone a muoversi ed orientarsi, avevo immaginato come base la struttura di excolonia che permettesse l’accoglienza e le cure prima di aiutare le persone a prendere direzione e progetto. Credo che si dovrebbe ripartire da queste cose.
Uno dei segni del tempo, e della volontà di controllo che copre tutto lo vediamo in questa narrazione che incentiva l’isolamento, il controllo reciproco, la diffidenza, il timore dell’altra e dell’altro, emblematica la mascherina che ci viene richiesto di indossare in troppi luoghi ancora, perché il problema è proprio lo stare insieme, il comunicare, il parlare: appena ci si ritrova anche in piccoli gruppi le parole corrono, insieme all’affetto e i ragionamenti si confrontano pacatamente e prendono forma progetti e realtà diverse, affettuose e solidali. ma se abbiamo assorbito il giudizio, il dover essere, la distanza ci ritroviamo a isolarci, a diffidare del vicino, dell’amica, di un senza tetto o di chiunque voglia in qualche modo sottrarsi alla normativa folle che ci viene proposta.
È il momento di cambiare, di immaginare alternative a questa narrazione mortifera, e costruire, ma anche richiedere-pretendere luoghi di incontro e reciprocità, dove sia possibile vivere insieme, sostenersi scambiarsi idee e aiuto pratico senza essere invadenti o distruttivi. Il vincolo dell’amore, della comprensione e dell’incontro deve sovrastare le narrazioni violente e le divisioni orribili.
